Mi chiamo Rosa, ho 68 anni, e quattro mesi fa ho fatto un gesto che mia sorella ha definito «una botta di testa da ventenne».
Dopo che mio marito se n’è andato cinque anni fa, la mia routine era diventata una prigione gentile: caffè alle sette, gita al mercato, pomeriggio in poltrona a guardare le repliche di Un posto al sole. Un giorno ho guardato la finestra e mi sono detta: Rosa, la tua vita non può finire dentro una tenda da sole beige. Ho venduto la casa e ho risposto a un annuncio: Cercasi volontari per comunità agricola.
Ora vivo con sei ragazzi e ragazze tra i venti e i trent’anni. Studiano agraria, filosofia, e uno fa il tatuatore spirituale — qualsiasi cosa significhi. La prima sera mi hanno accolto con una zuppa di lenticchie e una canzone di De André suonata con l’ukulele.
Mi hanno chiesto:
— Rosa, ma tu mediti?
Ho detto:
— No, ma ogni tanto parlo con le zucchine, vale?
All’inizio mi sentivo un mobile antico in un negozio moderno. Poi ho capito che servivo: per le conserve, per il pane fatto in casa e per dire «basta scrollare, venite a zappare».
Io insegno loro a cucinare e a ridere senza filtri, loro mi insegnano a usare Google Maps e a dire «chill» senza sembrare che stia congelando.
Un pomeriggio mi hanno portato a un mercatino solidale. Mi hanno detto: «Rosa, dai, vendi le tue marmellate.» Ho messo un cartello: «Confetture di resilienza». Mi chiedono se non mi manca la mia vecchia casa. Io dico di no. Perché là avevo solo pareti, ma qui ho terra sotto le unghie e gente che mi chiama per nome.