*Lettera degli economisti sul caso Jeffrey Sachs*
Poiché in Italia Jeffrey Sachs viene spesso presentato come una sorta di oracolo — un’autorità morale e scientifica — credo sia utile ricordare cosa pensi in realtà la comunità accademica internazionale dei suoi interventi nel dibattito pubblico.
Nel marzo 2023, un gruppo di economisti di primo piano — tra cui molti studiosi russi e ucraini — ha pubblicato questa lettera aperta per denunciare le ricorrenti mistificazioni di Sachs sull’Ucraina.
La lettera, per lo più ignorata dai media italiani, è un documento importante: mostra il livello di indignazione che le tesi di Sachs hanno suscitato tra i suoi colleghi, e aiuta a comprendere perché la sua attività pubblica sia considerata, nel mondo accademico, una forma di propaganda travestita da analisi geopolitica.
Credo sia molto importante diffonderla, affinché anche il pubblico non specializzato prenda coscienza di che cosa rappresenti oggi il “fenomeno Sachs”: un caso esemplare di degrado del discorso pubblico, in cui l’autorevolezza accademica rischia di essere usata da conduttori televisivi compiacenti per legittimare la disinformazione.
Di seguito riporto una traduzione della lettera. La traduzione è pubblicata sul mio blog (link nel primo commento), dove si legge molto meglio e dove si possono vedere, in fondo, i nomi dei “primi” firmatari.
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Caro Dr. Sachs,
Siamo un gruppo di economisti, tra cui molti ucraini, rimasti sconcertati dalle sue dichiarazioni sulla guerra russa contro l’Ucraina. Abbiamo sentito il dovere di scrivere questa lettera aperta per rispondere ad alcune gravi distorsioni storiche e a diversi errori logici nei suoi argomenti. Dopo le sue ripetute apparizioni nei talk show di uno dei principali propagandisti del Cremlino, Vladimir Solovyov (che non solo invoca la cancellazione dell’Ucraina dalla faccia della Terra, ma anche attacchi nucleari contro i Paesi della NATO), abbiamo esaminato i suoi articoli pubblicati sul suo sito personale e individuato alcuni schemi ricorrenti.
Nel seguito della lettera spiegheremo le sue distorsioni, punto per punto, accompagnandole con delle brevi repliche.
1. Negare l’autonomia dell’Ucraina
Nel suo articolo The New World Economy del 10 gennaio 2023, lei scrive: «Furono, dopotutto, i tentativi degli Stati Uniti di espandere la NATO a Georgia e Ucraina a innescare le guerre in Georgia (nel 2010) e in Ucraina (dal 2014 a oggi).»
E nel suo articolo What Ukraine Needs to Learn from Afghanistan del 13 febbraio 2023, afferma: «La guerra per procura in Ucraina è iniziata nove anni fa, quando il governo americano sostenne il rovesciamento del presidente Viktor Yanukovych. Il suo peccato, agli occhi degli Stati Uniti, fu di voler mantenere la neutralità dell’Ucraina, nonostante il desiderio americano di includere il Paese (e la Georgia) nella NATO.»
Vorremmo ristabilire la verità sui fatti storici del 2013–2014, che lei richiama con delle affermazioni disinformative. L’Euromaidan non ebbe nulla a che vedere con la NATO, né con gli Stati Uniti. Le proteste iniziarono quando Yanukovych decise di non firmare l’Accordo di Associazione con l’Unione Europea, nonostante fosse stato approvato a larghissima maggioranza dal Parlamento ucraino e sostenuto da gran parte della popolazione.
La risposta del regime – la brutale aggressione della polizia contro studenti e manifestanti pacifici, la notte del 30 novembre 2013 – non fece che alimentare la protesta.
Dopo le cosiddette leggi della dittatura del gennaio 2014, che abolivano libertà di stampa e di riunione, il movimento si trasformò in una rivolta contro l’abuso di potere, la corruzione e la violenza di Stato: quella che oggi chiamiamo “Rivoluzione della Dignità”. L’ingresso nella NATO non fu mai un obiettivo di quel movimento.
Attribuire quindi l’origine della guerra alla NATO è storicamente falso. Quindi, trattare l’Ucraina come un semplice pedone sulla scacchiera geopolitica americana è un insulto ai milioni di ucraini che rischiarono la vita per la libertà e la dignità del proprio Paese.
2. “È stata la NATO a provocare la Russia”
Lei ripete spesso che l’espansione della NATO avrebbe provocato la Russia, come ha affermato nell’intervista a The New Yorker del 27 febbraio 2023: «La NATO non dovrebbe espandersi, perché questo minaccia la sicurezza della Russia.»
Vorremmo ricordarle alcuni fatti:
nel 1939 furono l’Unione Sovietica e la Germania nazista a invadere la Polonia;
nel 1940, è stata l’Unione Sovietica i Paesi baltici;
nello stesso anno, è stata l’Unione Sovietica ad annettere parti della Romania;
nel 1956 l’Unione Sovietica ha invaso l’Ungheria;
nel 1968 l’Unione Sovietica ha invaso la Cecoslovacchia.
Né la Polonia, né l’Estonia, né la Lituania, né la Lettonia, né la Romania, né l’Ungheria, né la Cecoslovacchia avevano mai minacciato la Russia o l’URSS: Eppure, furono aggredite dall’Unione Sovietica/Russia.
Ecco perché questi Paesi hanno voluto entrare nella NATO.
Da quando lo hanno fatto, nessuno di essi è stato più attaccato dalla Russia.
Proprio come loro, anche l’Ucraina — il cui bilancio militare nel 2013 era di soli 2,9 miliardi di dollari contro i 68 miliardi della Russia — desidera pace e sicurezza, non essere nuovamente invasa dalla Russia.
L’accordo di Budapest del 1994, con cui l’Ucraina rinunciò al proprio arsenale nucleare in cambio di garanzie di sicurezza da parte di Stati Uniti, Regno Unito e Russia (!), non fu sufficiente a impedire l’aggressione russa. Oggi, l’unica garanzia credibile è l’adesione alla NATO.
Le facciamo inoltre notare che Finlandia e Svezia hanno chiesto di entrare nella NATO a causa dell’aggressione russa — e Mosca non ha protestato. Né lei sembra preoccuparsi dell’adesione di questi due paesi alla NATO. Questo doppio standard sull’Ucraina rispetto a Finlandia e Svezia, che legittima “sfere d’influenza” in stile imperiale, è inaccettabile nel XXI secolo.
3. Negare l’integrità territoriale dell’Ucraina
In un’intervista a Democracy Now! del 6 dicembre 2022, lei ha dichiarato: «A mio avviso, la Crimea è stata storicamente, e sarà in futuro, almeno di fatto russa.»
Le ricordiamo che l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 ha violato:
– il Memorandum di Budapest (nel quale la Russia si era impegnata a rispettare e proteggere i confini ucraini, inclusa la Crimea),
– il Trattato di Amicizia e Cooperazione del 1997 (con cui la Russia ha ribadito le stesse promesse),
– e il diritto internazionale, come stabilito dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU.
In quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza, la Russia avrebbe dovuto garantire la pace. Invece ha violato uno dei principi fondativi delle Nazioni Unite, l’articolo 2 della Carta dell’ONU, che vieta l’uso della forza contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di uno Stato.
L’intero ordine mondiale del dopoguerra si fonda su questo principio: i confini non possono essere modificati con la forza (indipendentemente dal background storico). Se si consente a una potenza nucleare di annettere I territori di altri paesi a piacimento, allora nessun paese può più sentirsi al sicuro.
Sostenere che la Russia possa “tenersi” la Crimea equivale a credere che, una volta ottenuto quel territorio, lascerà il resto dell’Ucraina in pace. Ma ciò è palesemente falso: il possesso di fatto della Crimea dal 2014 non ha impedito la successiva invasione dell’Ucraina nel 2022.
L’obiettivo di Putin è “risolvere la questione ucraina”, cioè distruggere lo Stato ucraino e annetterne l’intero territorio.
Pertanto, annettendo l’Ucraina Putin non ha ripristinato una sorta di “giustizia storica”, ma ha solo preparato le condizioni per le successive invasioni. Ripristinare la sovranità ucraina sul proprio territorio è essenziale non solo per la sicurezza dell’Ucraina, ma per la sicurezza di tutti: serve a riaffermare che chi aggredisce non può farla franca.
Infine, lei afferma che “la Russia non accetterà mai la NATO in Ucraina”. La informiamo che la Carta dell’ONU considera l’autodeterminazione dei popoli un principio fondamentale, secondo il quale non spetta alla Russia decidere a quali alleanze uno Stato sovrano possa aderire.
L’Ucraina ha un governo democraticamente eletto — non una dittatura come in Russia —, e spetta a esso, in accordo con i propri cittadini, decidere se aderire o meno alla NATO. Allo stesso modo, i Paesi dell’Alleanza hanno pieno diritto di decidere chi ammettere al proprio interno.
4. Promuovere i “piani di pace” del Cremlino
Nel suo articolo What Ukraine Needs to Learn from Afghanistan, lei propone che: «La base per la pace è chiara. L’Ucraina dovrebbe restare neutrale e fuori dalla NATO. La Crimea rimarrebbe sede della flotta russa del Mar Nero, come dal 1783. Per il Donbas si troverebbe una soluzione pratica, come una divisione territoriale o un armistizio.»
È una posizione perfettamente allineata con quella della propaganda russa, ma ignora la domanda cruciale: su quali prove si basa la fiducia che un aggressore cronico (warmonger), che ha sempre negato l’esistenza stessa dell’Ucraina, si accontenterebbe della Crimea e del Donbas senza tentare di occupare il resto del Paese?
Finché non si risponde credibilmente a questa domanda, la sola proposta credibile resta il piano di pace in dieci punti avanzato dal presidente Zelensky e sostenuto dall’intera popolazione ucraina.
Ripetere acriticamente i “piani di pace” del Cremlino significa solo prolungare la sofferenza degli ucraini.
Scrivere che se l’Ucraina avesse “offerto” Crimea e Donbas nel dicembre 2021 o nel marzo 2022 “le truppe russe si sarebbero fermate e la sovranità del Paese sarebbe stata garantita dal Consiglio di Sicurezza” è semplice wishful thinking. Le trattative del 2022 sono fallite non per colpa di un intervento americano, ma perché la Russia pretendeva — e pretende ancora! — la capitolazione totale e incondizionata dell’Ucraina.
Ricordi che Mosca dichiara come obiettivi la “demilitarizzazione e denazificazione” dell’Ucraina: per “denazificazione” uno dei consiglieri di Putin, Timofey Sergeitsev (nel suo pezzo “What Russia should do with Ukraine?”), ha spiegato di intendere lo sterminio di milioni di persone e la “rieducazione” forzata dei sopravvissuti.
Queste parole non erano retorica: nei territori occupati, la Russia ha già iniziato a tradurle in pratica, come documentato da ONU e organizzazioni indipendenti.
La invitiamo a leggere integralmente il testo di Sergeitsev, ma bastano pochi passaggi per comprendere chiaramente il senso delle sue parole:
«Un Paese sottoposto a denazificazione non può possedere sovranità»; «La denazificazione implicherà inevitabilmente la de-ucrainizzazione — cioè il rifiuto della massiccia e artificiale enfatizzazione della componente etnica nell’autodefinizione della popolazione dei territori storici della Malorossija e della Novorossija, introdotta dalle autorità sovietiche»;
«La denazificazione dell’Ucraina significa la sua inevitabile de-europeizzazione»;
e ancora, «[la denazificazione comporta…] il sequestro dei materiali didattici e il divieto di programmi educativi a tutti i livelli che contengano linee guida di ispirazione nazista».
Nel suo articolo, Sergeitsev definisce ripetutamente gli ucraini “nazisti”.
Sembra che Lei ignori che, coerentemente con questa retorica, la Russia sta commettendo atrocità di guerra orrende, ampiamente documentate dalle Nazioni Unite e da molte altre fonti indipendenti. Non riusciamo a scorgere alcun segno di un reale interesse per la pace nei crimini che la Russia continua a perpetrare.
Le chiediamo di riconsiderare l’idea che la Russia stia cercando una pace di buona fede. Non c’è alcuna evidenza che lo stia facendo.
5. Presentare l’Ucraina come un Paese “diviso”
Sempre in What Ukraine Needs to Learn from Afghanistan, lei scrive che «Gli Stati Uniti hanno ignorato due dure realtà politiche in Ucraina. La prima è che l’Ucraina è profondamente divisa tra nazionalisti russofobi a ovest e russi etnici a est e in Crimea.»
È un argomento preso pari pari dal repertorio della propaganda russa, utilizzato fin dal 2004 per giustificare la narrazione della “denazificazione”.
I fatti, però, raccontano un’altra storia, che la incoraggiamo a studiare.
Nel 1991, tutte le regioni dell’Ucraina — Crimea compresa — votarono per l’indipendenza. Il censimento del 2001 mostra che gli ucraini etnici erano maggioranza in tutte le regioni, tranne la Crimea. Ma la composizione etnica della Crimea è il risultato di deportazioni e genocidi: dall’annessione del 1783 fino alle espulsioni di massa dei Tatari nel 1944. Gli abitanti originari furono deportati o uccisi e sostituiti da russi.
Una tattica simile è stata impiegata dalla Russia in occasione di diversi genocidi contro gli ucraini — per esempio durante la Grande Carestia del 1932–33, quando famiglie russe venivano insediate nelle case degli ucraini morti di fame.
Oggi Mosca sta ripetendo gli stessi metodi di sostituzione demografica: deporta la popolazione ucraina, adotta con la forza i bambini o li “rieduca” — cioè li sottopone a un vero e proprio lavaggio del cervello — dopo averli strappati alle loro famiglie.
Oltre alla pulizia etnica delle popolazioni ucraine e di altri gruppi indigeni, la Russia ha fatto ricorso a tattiche più “soft”, come la russificazione, ossia l’induzione sistematica a non studiare e non usare la lingua ucraina in nessun ambito della vita pubblica o privata.
La russificazione è un processo che dura da secoli e si è espresso in forme molto diverse: dalla “mescolanza” forzata delle popolazioni — inviando ucraini a lavorare in Russia e russi a studiare o lavorare in Ucraina — fino a rendere quasi impossibile l’accesso all’università per chi parlava ucraino. La lingua e la cultura ucraine venivano sistematicamente rappresentate come arretrate e inferiori rispetto alla “grande cultura russa”.
A ciò si è aggiunto il furto sistematico del patrimonio culturale ucraino: solo di recente i musei internazionali hanno iniziato a correggere le attribuzioni di molti artisti ucraini presentati per decenni come russi, mentre centinaia di migliaia di reperti sono stati saccheggiati dai musei ucraini dal 2014, e in particolare durante l’ultimo anno.
Le accese discussioni linguistiche di oggi sono dunque una risposta naturale ai tentativi storici della Russia di sopprimere qualsiasi recupero dei diritti della lingua ucraina.
Nonostante questa lunga storia di oppressione, gli ucraini hanno progressivamente ripreso a usare la propria lingua, e l’invasione su larga scala da parte della Russia ha ulteriormente accelerato questo processo.
I sondaggi più recenti mostrano che, indipendentemente dalla lingua o dalla regione, l’80% degli ucraini rifiuta concessioni territoriali alla Russia e l’85% si identifica prima di tutto come “cittadino ucraino”, anziché come semplice residente della regione in cui vive, o appartenente a una qualche minoranza etnica, o altro.
Un Paese così non è “diviso”.
Conclusione
In conclusione, apprezziamo il suo interesse per l’Ucraina, ma se l’intento è contribuire a delle proposte costruttive per far finire la guerra, il risultato è l’opposto.
Le sue dichiarazioni forniscono un’immagine distorta delle cause e degli obiettivi dell’invasione russa, confondono fatti e sue interpretazioni soggettive, e propagandano punto per punto le narrazioni del Cremlino.
L’Ucraina non è una pedina geopolitica né un Paese lacerato: è una nazione sovrana, che non ha mai attaccato nessuno e che ha pieno diritto di decidere il proprio destino.
La guerra di aggressione russa non ha giustificazioni.
Ogni discussione su una pace “giusta” deve partire da tre principi: una bussola morale chiara, il rispetto del diritto internazionale e la conoscenza della storia dell’Ucraina.
Con i nostri migliori saluti,
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Nota: l'elenco dei primi firmatari si trova sul blog. Il link è nei commenti e vi invito a leggere lì la lettera - dove ci si può iscrivere alla newsletter per ricevere i prossimi aggiornamenti.