way too conservative for my own good. My parents’ preferred fourth child…

Brooklyn, NY
Joined October 2018
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Marcos de Quinto, a former Coca-Cola CEO: ”Islamism should not be considered a religion but rather a totalitarian political movement aiming to impose Sharia law, which is undemocratic and should be banned like other extremist political ideologies”
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"Before leaving my position as head of the Romanian intelligence services for America, I was tasked with delivering to Arafat approximately $200,000 in laundered cash each month during the 1970s. I also sent two cargo planes to Beirut every week, loaded with uniforms and supplies. Other states in the Soviet bloc did roughly the same thing.... I was handed the KGB's "personal file" on Arafat. He was an Egyptian bourgeois transformed into a devoted Marxist by the KGB's foreign intelligence services. The KGB had trained him at its school for special operations in Balashikha, east of Moscow, and had decided, in the mid-1960s, to prepare him to become the future leader of the PLO. First, the KGB destroyed Arafat's official birth records in Cairo and replaced them with forged documents stating that he was born in Jerusalem and was therefore Palestinian by birth. The KGB's disinformation department then worked on Arafat's four-page leaflet titled "Falastinuna" (Our Palestine), transforming it into a 48-page monthly magazine for the Palestinian terrorist organization al-Fatah. Arafat had led al-Fatah since 1957. The KGB distributed it throughout the Arab world and in West Germany, which at the time hosted many Palestinian students.... Arafat was an important secret agent for the KGB. Just after the 1967 Six-Day Israeli-Arab War, Moscow appointed him president of the PLO. It was the Egyptian leader Gamal Abdel Nasser, a Soviet puppet, who proposed this appointment. In 1969, the KGB asked Arafat to declare war on "American imperialism and Zionism" at the first summit of the Black International of Terrorism, a neo-fascist pro-Palestinian organization funded by the KGB and the Libyan Moammar Kadhafi. The imperialo-Zionist war cry pleased Arafat so much that he later claimed to have invented it. But in fact, "imperialism and Zionism" is a Moscow invention, a modern adaptation of the "Protocols of the Elders of Zion," and for a long time the favorite tool of the Russian secret services to foment ethnic hatred. The KGB has always considered anti-Semitism and anti-imperialism as an abundant source of anti-Americanism.... In March 1978, I secretly brought Arafat to Bucharest so he could receive the latest instructions on how to behave in Washington. "You just have to keep pretending that you're going to break with terrorism and recognize Israel—again and again and again," Ceausescu told him for the umpteenth time...." (Mr. Pacepa is the highest-ranking intelligence officer to have defected from the former Soviet bloc. Author of "Red Horizons" (Regnery, 1987))
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Chi violenta una donna o un bambino non è un uomo: è feccia. Chi oltrepassa quel limite esce dal consorzio umano.
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They’re not protesting for the Palestinians They’re protesting against the Israelis. They’re not protesting because people in Gaza are dying during the war. They’re protesting that people in Israel are not dying more. They’re not protesting that the State of Palestine doesn’t exist. They’re protesting that the State of Israel does. They’re don’t stand for anything. They only stand against. If they stood for anything, if they cared about Muslims or people, they’d be protesting the actual genocides that are happening in Muslim countries around the world. But they don’t care about that. Don’t listen to their words. Watch their actions. Because that’s what matters.
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Forse - magari, lo spero - qualcuno dopo aver letto questo pezzo aprirà finalmente gli occhi. E capirà che Hamas, la Jihad Islamica - il gruppo che ha tenuto prigioniero Rom - non sono “la Resistenza”, ma semplicemente il Male.
🚨🪖🇮🇱 Negli ultimi anni ho raccontato molte guerre. E visto di conseguenza, coi miei occhi, immagini dell’orrore che per scelta ho spesso deciso di risparmiarvi. Eppure poche cose mi hanno colpito più delle parole di Rom Braslavski, ostaggio israeliano liberato dopo due anni di inferno a Gaza. Così la premessa è d’obbligo: quelle che state per leggere sono dichiarazioni in grado di urtare la vostra sensibilità. Non lasciatevi ingannare dal fatto che siano “soltanto” parole. Rom ha raccontato per filo e per segno la sua prigionia: dal tentativo di fermare i terroristi di Hamas in azione il 7 ottobre al Nova Festival, dove si trovava in qualità di addetto alla sicurezza, alla sua cattura e alla sua prigionia. Vi basti questo: ero tentato di non riportare questa intervista. Si trattava di ricostruire dall’ebraico, parola per parola, un lungo racconto trasmesso al pubblico israeliano integralmente soltanto ieri sera per la prima volta, e di cui i media internazionali hanno ripreso soltanto alcuni estratti. Insomma, un lavoro enorme, ma soprattutto un contenuto troppo “crudo“, violento, non alla portata di tutti i lettori. Allora perché state leggendo questa introduzione? Perché a un certo punto ho sentito dire a Rom Braslavski che “è un dovere che tutto il mondo sappia, che conosca almeno una briciola, per capire cos’è un incubo”. Ecco, questo pezzo non raggiungerà certo “il mondo”, ma almeno mi farà sentire con la coscienza a posto. Forse - magari, lo spero - qualcuno dopo aver letto questo pezzo aprirà finalmente gli occhi. E capirà che Hamas, la Jihad Islamica - il gruppo che ha tenuto prigioniero Rom - non sono “la Resistenza”, ma semplicemente il Male. E ancora: che non c’è modo di mettere i terroristi e Israele sullo stesso piano. È una grossa bugia, la menzogna di chi vorrebbe riscrivere la Storia. Non vi auguro “buona lettura”, sarebbe inutile e stonato. Vi invito soltanto a leggere, attentamente, fino in fondo. Sarà una lunga lettura? Sì, ma almeno saprete cos’è accaduto davvero a Gaza in questi due anni. Nelle prossime righe farò in modo che a parlare sia solo Rom Braslavski, fatta eccezione per alcune note di contesto. “Non avevo mai visto un cadavere in vita mia. Mai. E vedo due ragazze accasciate sul pavimento. Ero convinto che fossero manichini di plastica. Le vedevi vestite con abiti da festival, abiti tipici del Nova, e accanto a loro una pozza di sangue. E io dico a una di loro, come se fosse una persona viva: “Va tutto bene?”. Parlo con un cadavere. Mi sentivo impazzire. Mi dicevo: “Senti, è come un film, cosa farebbe l’uomo del film?”. Così ho combattuto con chi mi aveva catturato. Ho deciso di saltargli addosso a pugni chiusi, con tutta la forza che avevo. L’ho spinto con tutte le mie forze, a sorpresa. Lui è rimasto scioccato. Ho approfittato dell’occasione. Ho corso come non avevo mai corso in vita mia. Ero sfinito. Il mio corpo non riusciva più a muoversi, e correvo contro il corpo, contro la stanchezza. Ma vedo che sto correndo verso la recinzione. Il recinto è davanti a me, forse mi separano sessanta metri. E mi dico: “Dannazione, dove sto correndo?” A sinistra ci sono terroristi, a destra ci sono terroristi, dietro di me c’è lui. Se continuo, arrivo solo al recinto. Ho visto una specie di fossato, con un po’ di vegetazione. Ho pregato “Shema Israel, Shema Israel, Shema Israel…”, ascolta Israele, ascolta Israele. Arriva il tipo su cui mi ero avventato e mi guarda con quello sguardo. Lo sguardo di chi mi riconosce. Si tocca la barba, annuisce. Poi arriva, mi spacca il naso a pugni. Mi esce sangue dappertutto. Mi ha rotto il naso. Mi hanno caricato in macchina e siamo partiti. Abbiamo iniziato il nostro viaggio verso Gaza”. L’episodio della pasta “Mi hanno portato in una casa improvvisata, come un pollaio. Mi hanno legato all’armadio. Legato, per ventiquattro ore al giorno. Dopo dieci giorni avevo fame, una fame tremenda. E mi sono detto: non mi importa più di niente. Farò quello che serve per sopravvivere. Avevo imparato da un amico colono, che era stato arrestato, un metodo per liberarsi dalle manette. Mi sono liberato, ho cominciato a muovere il corpo, a muovere le gambe. Morivo di paura. Pensavo: magari torna all’improvviso, magari ha dimenticato qualcosa e rientra. Dopo alcuni giorni in cui già uscivo e rientravo, ho rovesciato tutta la casa cercando un telefono. Ho frugato ovunque. Ma - perdona l’espressione - mi tremavano le palle. Ho rimesso tutto a posto in fretta, mi sono riagganciato le manette. E per fortuna, proprio in quel momento, lui era in bagno a lavarsi le mani. Sono andato avanti così per un’altra settimana. Mi sono detto: se arrivo al ventunesimo giorno, farò una missione suicida. Mi sono detto: preparo della pasta. Ho acceso il gas, messo l’acqua, guardato il cielo. Ho detto: “Almeno respiro un po’ d’aria prima che magari mi prendano o muoia”. Ho scaldato l’acqua, poi è finito il gas. Mi sono detto: “Anche se devo accendere un fuoco, lo accendo. Farò quello che serve per mangiare come un essere umano”. Sentivo che il corpo non aveva più nulla, nessuna forza. Ho preso i vestiti dei suoi figli e dei libri, sono andato in bagno e ho cominciato a bruciarli. Ho fatto un piccolo fuoco. A quel punto, il fumo comincia a uscire dalle fessure della casa di Gaza. Decine di abitanti si radunano attorno, poi entrano e trovano l’ostaggio israeliano da solo. Hanno iniziato a bussare alla porta, tutti insieme, e io dico “caz*o, sono solo, mi prenderanno”.  Bussano anche alle finestre, io li vedo da un metro di distanza, e dico “ca*zo, mi hanno preso! Dio, Dio, mi hanno preso!” Mi sono buttato sotto il letto, ho tirato la coperta sopra per non far vedere le gambe. Sono entrati. Mi hanno tirato fuori da sotto il letto. Mi hanno massacrato di botte. Mi hanno picchiato a sangue. Per un’ora intera, pugni, calci in faccia. Uno ha preso una penna e me l’ha conficcata in testa. Per due settimane non riuscivo più a camminare o stare in piedi. Ma poco prima che la folla di Gaza mi uccidesse a sangue freddo, l’uomo incaricato di sorvegliarmi è tornato a casa e ha disperso la gente. E io vedo quella pentola di pasta proprio davanti ai miei occhi. Mi dico: “Va bene, ormai mi hanno picchiato, mi hanno preso. Chissà che cosa mi faranno adesso. Almeno mangerò la pasta”. L’ho afferrata con le mani, come un cane. L’ho presa, ho cominciato a ingozzarmi, ingozzarmi e ingozzarmi, poi sono tornato al mio posto, sul materasso. E da lì la storia è diventata ancora più nera”. La tortura del cibo “Mio padre ha un po’ di problemi di salute, non gravi. È un po’ anziano. E loro mi dicevano: “Abbiamo seppellito tuo padre. Tuo padre non ce l’ha fatta”.  L’ho visto alla televisione israeliana, dicevano che l’avevano seppellito. E poi dicevano: “Magari anche tuo fratellino e tua madre, ma è quello che vuoi, no? Andare in paradiso. Voi ebrei dite sempre che andrete in paradiso”. Io piangevo. Una volta ho perso il controllo. Ho preso una tazza di tè - non di vetro, una tazza normale - e mi sono detto: “Al diavolo tutto, al diavolo tutto”. Ero arrabbiato, mi avevano lasciato senza cibo proprio in quel momento. Ricordo che volevo alzarmi a prendere dell’acqua, e lui mi dice: “Siediti! Non ti alzare! Non muoverti adesso”. Allora ho preso la tazza di tè, me la sono spaccata sulla testa. Non si è rotta. L’ho colpita due volte, e alla fine l’ho rotta sulla mia testa. Dalla frustrazione, dalla rabbia, dalla tensione. Non riesci più a mantenerti lucido. Mi usciva sangue in quantità enorme. Ho perso un po’ conoscenza. Mi sono detto: “Sì, è una tazza robusta, forse questa mi ucciderà, perché in ospedale non mi porteranno”. Volevo che il sangue continuasse a uscire finché non sarei morto. Sai, pugnalarsi fa paura, tagliarsi le vene fa paura. La tazza di tè mi sembrava il modo più semplice e veloce. Loro sono riusciti a salvarmi, a stabilizzarmi. E io ero deluso. Gli ho detto: “Perché? Perché mi aiuti? Perché? Lasciami. Lasciami. Perché? Perché l’hai fatto?” Non è passato sotto silenzio. Il giorno dopo, per tre giorni, hanno deciso che dovevo ricevere una punizione per quello che avevo fatto, e mi hanno torturato. Torture leggere, non gravi - ma non mi davano da mangiare. Mi hanno picchiato un po’ perché mi ero spaccato la tazza in testa. Mi hanno detto: “Non berrai più tè, né niente di caldo”. E così è stato. Hanno smesso di portarmi il tè. Poi sono entrati a Gaza centinaia di camion di aiuti. I jihadisti erano felicissimi. Finalmente ricevevano aiuti umanitari. Hanno cominciato a mangiare, a bere tè, a ricevere carne e cibo in abbondanza - roba da ristorante. Erano felici del loro cibo. Felici. Uno si è comprato una tenda, un altro della plastica per coprirla, un altro tessuti, un altro scarpe. Li vedevi contenti. E io, la mia vita non cambiava. Aiuti o non aiuti, la mia vita era la stessa. Sporco, senza lavarmi, senza mangiare. Che figli di put*ana. Entrano tonnellate di cibo e tu mi lasci morire di fame. Perché? Perché mi lasci morire di fame? Mi dà un chilo di farina e mi dice: “Quattro shekel”. Gli dico: “Va bene, dammelo.” Mi risponde: “No, no, no, no, non è per te. È per noi. Tu stai zitto”. Senti l’odore della carne, del caffè, del tè. Mi ricordo l’odore del tè: ha un profumo dolce. Sanno fare il tè. Senti tutti questi odori - e il loro cibo, quel piatto che chiamano riso con latte, qualcosa di buono, profuma come zucchero cotto nel latte. E lo senti, e lo stomaco ti si rivolta. E poi, proprio allora, è apparsa una piccola luce nell’oscurità: un altro ostaggio israeliano, anche lui tenuto prigioniero dal Jihad islamico”. “Quel topo mi faceva impazzire”.  Rom parla di Sasha Troufanov: “Dalla mattina fino a notte inoltrata parlavamo. Mi raccontava storie assurde. Era ferito alle gambe. Lui raccontava, io raccontavo. Un delirio. E sai? Mi sentivo felice. Seduto con lui, parlavamo in ebraico, un israeliano come me, di un kibbutz. Mi ricordo che c’era un topo enorme nella stanza che mi faceva impazzire. Avevo più paura che quel topo mi corresse sulla testa che di prendere un missile. Ricordo di aver detto a Sasha: “Fratello, non ti dà fastidio questo topo? Non hai paura che ti tocchi? Non ti fa schifo?” E lui mi diceva: “Ah, sciocchezze, mi sono abituato.” Dopo quarantotto ore dolci con Sasha, la realtà è tornata a colpirmi in pieno volto”. È il momento in cui l’esercito israeliano entra a Rafah. I miliziani della Jihad islamica separano i due ostaggi: “Ero sicuro che ci avrebbero trasferiti insieme, che sarei rimasto con lui. Era il mio punto d’appoggio. Era più grande di me. Mi sentivo a mio agio con lui, a condividere il dolore. In quei due giorni…sì, solo due giorni. Ma mi ero legato molto. Fa male, fa paura. Non ho appoggi, sono solo. Sono stanco mentalmente. Non mi vedo più uscire vivo da Gaza”. Rom ancora non lo sa, ma è in quel momento che le porte dell’inferno stanno per aprirsi davvero: da lì in avanti, tutto sarà molto peggio, anche rispetto a ciò che ha già vissuto.  Il no all’Islam e le pietre nelle orecchie “Sentivo i jihadisti parlare di parenti morti, sempre più familiari uccisi. E poi mi sono rifiutato di convertirmi all’Islam. Uno di loro mi diceva: “Senti, se ti converti, ti porto tanto cibo. Vivrai con noi. Nessuno ti toccherà. Vieni, abbraccia la vera fede, l’Islam, Maometto”. Ma nella mia testa sapevo che non sarebbe mai successo. Gli ho detto: “Sono nato ebreo, morirò ebreo”, Anche qui, quella decisione - e solo Dio sa da dove ho preso la forza - di non arrendermi, non piegarmi, non muovermi, ha avuto un prezzo terribile. Da lì la storia è diventata ancora peggiore. L’uomo è arrivato con un biglietto. Mi dice: “Senti, qui c’è scritto di bendarti gli occhi”. Gli dico: “Va bene, perché?”. Mi risponde: “Sono le istruzioni che ho ricevuto dall’alto”. Mi lega gli occhi. Passa un giorno, poi due, tre…e toglie una benda, con un sorriso. Mi dice: “Bene”. Mi lega di nuovo. Passano i giorni. Dice: “Sono passati due giorni”. Un altro carceriere. E io gli credo, che siano ordini dall’alto. Mi dice: “Nove giorni con gli occhi bendati. E ora i tuoi orari per il bagno saranno tre al giorno: alle nove del mattino, alle quattro del pomeriggio e alle nove di sera”. Un incubo. Dovevo trattenere l’urina per ore. Un incubo. E mi riduce anche la bevanda a mezzo litro al giorno. Prima avevo un litro. Ora mezzo. Lui voleva assicurarsi che fosse buio completo. Mi chiede: “Vedi la luce, un po’ di luce?” Gli rispondo in arabo: “C’è un po’ di luce, ma non vedo”. Lui dice: “No. Non deve esserci luce.” Non voleva che ci fosse nemmeno un filo di luce. Voleva che avessi solo nero davanti agli occhi. Ha deciso di mettermi un’altra benda: una maglietta, e sopra un’altra maglietta. E poi mi ha coperto anche le orecchie. È entrato con due pietre. Era felice, sorrideva. Mi dice: “Guarda cosa ti ho portato, le ho cercate apposta per te”. Mi infila le pietre nelle orecchie. Non entrano bene. Allora prende un chiodo e spinge dentro le pietre con il chiodo, più a fondo possibile. Io urlo: “Aahhh!” Ma lui non si muove, continua a spingere dentro. Poi passa all’altro orecchio e fa lo stesso. E la cosa peggiore è che le lascia lì. Non le toglie. E poi stringe di nuovo la benda sugli occhi. Mi lega una maglietta, poi un’altra, e stringe quanto più può. Mi preme qui, non mi scorre più il sangue alla testa. Le pietre dentro. Le senti. Ah, senti i battiti. Tump, tump, tump. Ti chiedi: “Cos’è? È il cuore? Cos’è questo battito?” Cerco di sentire il polso, di capire. Sento toc, toc, toc. Battiti. Il cervello pulsa. Senti il sangue, il dolore. Dolori come mai nella vita. Mai. È un dolore che non si può descrivere. E lui ti lega, ancora più stretto. Muovi la testa e senti il dolore dentro. E cominci a sentire anche i suoni ovattati. Mi sono detto: “Va bene, Rom, calmati. Non ti stanno ancora tagliando a pezzi. Va tutto bene”.  “Ma Dio ti vede” “Ero esausto mentalmente, senza cibo. Anche la pita al giorno, quella che prima bastava, non c’era più. Volevo solo urinare tutto il giorno. Non vedevo, non sentivo bene, con dolori così. Dopo alcuni giorni, dopo una settimana - ormai tre settimane con la benda sugli occhi, senza bagno, con le pietre dentro le orecchie, dentro il cervello - arriva un tipo, a mezzogiorno, e mi dice: “Abu Salem, ecco…un messaggio.” Gli dico: “Cosa c’è scritto?”. Mi risponde: “Tu sei Abu Salem”. Mi mostra il biglietto: “C’è scritto di legare Abu Salem e torturarlo per Dio”. Lo guardo e gli dico: “Davvero? Sei serio? Stai scherzando?”. Non stava scherzando. E lui accenna un sorriso e dice: "No, no, non viene da me, è un ordine del generale. Che posso farci? Io sono solo un soldato". E non fa nulla. Non mi lega, non mi tocca. Penso: "Va bene, forse mi lascerà stare. Dio mio, che fortuna, che sollievo". Ma poi arrivano le nove di sera. Entrano con torce e fascette. Mi immobilizzano gambe e braccia. Mi spingono a terra. All’inizio sono pugni, poi avevano una frusta, quella con cui picchiano gli asini. È un dolore che non è umano, come una sferzata di ferro. L’ho guardata da vicino: dentro c’erano pezzi di metallo ricoperti di pelle. Poi hanno cominciato a colpirmi piano, giusto qualche pugno, qualche schiaffo, qualche colpo di frusta. Mi dico: "Ok, va bene, mi hanno legato, mi hanno torturato, è finita". Alle due di notte mi svegliano e mi danno le botte della mia vita. Mai preso colpi così. Mi mettono contro il muro. Uno mi tiene la testa e l’altro mi prende a pugni, pugno dopo pugno, senza fermarsi. Cerco di perdere conoscenza, ma non me lo permettono: ti tengono in piedi, sveglio. Dopo i pugni arrivano i colpi con quella frusta di ferro. Ogni colpo brucia, brucia come fuoco. Ho ancora oggi le cicatrici. Non se ne sono mai andate. Erano in tre: uno con la frusta e due con i bastoni. Alla fine ero distrutto, sanguinavo, mi facevano male tutte le ossa. Pesavo cinquantatré chili. Mi sono detto: "Ok, mi hanno torturato, è finita". Ero persino felice. Mi hanno detto: "Vai a dormire". Sono andato a dormire. Ma alle sei del mattino tornano, con le torce. "Yalla, yalla, yalla!". Entrano con due radio, accendono musica araba, gridano "Allah u Akbar, Allah u Akbar! Che bella giornata! Che felicità!". Mi svegliano, e ricomincia tutto. Stesse botte, stesso posto. Pugni, bastoni. Non erano uomini piccoli. Erano grossi, ogni mano grande come una pala. Ancora un giro di botte. Gli chiedo: "Perché?". Risponde: "Così, perché mi va". Lo stesso che mi interrogava. Poi un altro giro. Mi dico: "Non può continuare, basta". Ma a mezzogiorno tornano di nuovo. "Yalla, musica, festa!". Mi dicono: "Danza con le mani, balla e ridi". Io cerco di muovere la mano, ma fa male, un dolore nelle ossa. Era già il secondo ciclo di botte. Mettono le radio, musica, e di nuovo botte, botte. Capisci che sei dentro un ciclo, un inferno. E inizi a dubitare che uscirai vivo. Ti picchiano con tutto quello che hanno. Una radio me l’hanno spaccata in testa. Un bastone grosso si è rotto addosso a me. Persino la frusta di ferro si è piegata a forza di colpire. Mi dicono: "Sdraiati". Uno si siede sulle mie gambe, sulle ginocchia, e l’altro mi colpisce le piante dei piedi, colpo dopo colpo, forse quaranta di fila. Tutto il piede gonfio, rosso e blu. Poi mi dice: "Alzati, stai in piedi sulle piante dei piedi". È come se ti bruciassero. E così questa tortura continua giorno dopo giorno, ora dopo ora. E va solo peggiorando, sempre più giù. Mi picchiano sette volte al giorno, ogni volta per circa venti minuti. Ricordo quell’uomo, dicevano che era il nuovo comandante. Pesava almeno cento chili. Io ero ridotto a cinquanta. Ricordo che si metteva in piedi sul mio collo, sulla testa, mi saltava sulla schiena, e io pesavo cinquanta chili. Sentivo qualcosa spezzarsi, sentivo proprio che si rompeva qualcosa. Una sofferenza fisica inimmaginabile. Non riuscivo a camminare, ad andare in bagno. Quando è stato diffuso quel video in cui si vede che urlo "Portatemi da mangiare", in realtà stavo gridando "Aiutatemi, mi stanno torturando". Era proprio quel periodo. Anche il cibo e l’acqua…all’inizio mi davano un po’, poi più niente. Tre chicchi di falafel, era quello che mangiavo in un giorno. E ogni volta che vedo quel video su Facebook lo faccio scorrere, perché so che lì ho mentito con tutte le mie forze. Tra una ripresa e l’altra dicevano "Stop!", e uno mi dava un pugno: "Sii più serio, parla di Netanyahu, insulta Bibi, insulta Ben Gvir". Mi diceva: "Vuoi che ti tenga io le pietre e la benda sugli occhi?". "No, no, no". "Piangi". Poi metteva quella canzone in arabo che suonavano mentre mi picchiavano, e subito mi saliva l’angoscia, la paura. Ho pensato: "Ecco, ricomincia tutto, torneranno a massacrarmi". E ho cominciato a piangere. Ma non di fame. Era dolore puro, fisico. Mi faceva male tutto il corpo. Gli dissi: "Quel falafel che mi dai al giorno, prendilo. Lasciami morire di fame, ma smetti di picchiarmi". Volevo solo che smettesse di colpirmi. Il pianto non era per la fame. Era per il dolore nelle ossa. Gli dissi: "Io non piango per la fame. Piango per voi, per quello che mi state facendo". E poi gli dissi una frase, e dopo averla detta mi riempirono di botte, ma dovevo dirla. Gli dissi: "Forse pensi che qui ci siamo solo io e te. Che nessuno ci vede. Ma Dio ci vede. Lui vede come tu mi torturi e come io soffro per mano tua". Gli dissi: "Non passeranno cinque chili, Dio ti spaccherà in due. Aspetta la risposta di Dio e vedrai cosa ti succede". Si arrabbiò. "Mi insegni tu chi è Dio? Io ho 10 volte più fede di te! Ridammi le pietre e la benda". E la tortura riprese da capo. Dicono che mi abbiano torturato perché Ben Gvir provoca in prigione. Non è vero. Mi hanno torturato per una sola ragione: perché sono ebreo. È per questo che ho subito tutto quello che ho subito. Non per Ben Gvir, non per Netanyahu, per niente altro. Mi hanno torturato perché sono ebreo.  Il mio sogno “Poi hanno deciso di peggiorare ancora. Mi hanno spogliato completamente, da ogni lato, anche le mutande. Mi hanno legato nudo, senza nulla addosso. Ero esausto, morivo di fame. Pregavo Dio: salvami, tirami fuori da qui. Dicevo dentro di me: "Mi sto spezzando". E intanto continuavano a colpirmi con la frusta. Ero a pezzi, anche nella mente. Non ce la facevo più. Era già quasi il terzo mese che durava tutto questo. Giorno dopo giorno, il corpo crollava. Non avevo più forze. Non mangiavo più. Non trovavo salvezza. Quella è stata la fase in cui lo spirito si è spezzato. Ho smesso di pregare. Non trovavo più la forza. Niente Shema Israel, niente. Non avevo più energia, né mentale né fisica. Era violenza pura. Lo scopo era umiliarmi. L’obiettivo era schiacciarmi la dignità. E questo è esattamente ciò che hanno fatto. È difficile per me parlarne. Questo pezzo, in particolare, non mi piace parlarne. È difficile. Era così ogni giorno: ogni colpo, ogni giorno, dicevi: ‘Ho finito un altro giorno all’inferno. Domani mattina mi sveglierò per un altro inferno’.  L’ultimo giorno lì abbiamo fatto una specie di festa d’addio, e gridavamo a Muhammad: 'Metti la musica! Yalla, festa!'.  L’ultima notte ci hanno messi dentro un tunnel. Ero con altri, eravamo otto ostaggi, e ci hanno spinti, cinque di noi, dentro uno spazio minuscolo, uno accanto all’altro. E poi scopro che lì c’è Bar Kuperstein. All’inizio, giuro, era difficile riconoscerlo. Era diventato pallido, diverso, il viso cambiato. Dico: 'Bar, sei tu?'. Incredibile. Non sapevo fosse stato catturato. Lo conoscevo dal lavoro. Mi dice: 'Senti, non ti capisco. Hai un accento arabo, ci sono tante parole che non sai più dire in ebraico’. Sì. Così abbiamo passato tutta la notte lì nel tunnel ad allenarmi, a riprendere la lingua. È stato un momento raro per me. Tutti insieme, tutti gli israeliani, a raccontarci storie. C’erano anche alcuni di Hamas che erano...tranquilli. Non era la Jihad Islamica, erano più rilassati. C’era un’atmosfera di fine. Il film era finito. Eravamo vivi. Tutto qui. Il film è finito. Tutto bene. No, il vero eroe non sono io. Gli eroi sono i nostri soldati, quelli che sono entrati e hanno rovesciato tutta Gaza per tirarmi fuori. Io vi saluto. Vi amo. Siete la mia ispirazione. Siete la mia redenzione. Sai, quando ti siedi qui e metti i tefillin sotto il cielo... è oro. Vale tutto. È valsa la pena per questi due anni. Non è scontato poter sedersi qui sotto il cielo. Mi dicono: 'Cosa ti è rimasto?'. Niente. Raschi solo il fondo. Capisci? Ogni cosa ti travolge. Ieri ho visto il mare dall’alto e ho cominciato a piangere. È difficile fermare le lacrime. Faccio sempre del mio meglio, ma non capisco perché arrivo a un punto in cui non riesco più. Sento una canzone, guardo il mare, e comincio a piangere. Ho detto a mio padre: 'Cavolo, non avrei dovuto passare tutto quello che ho passato. Quale diciannovenne dice: ‘Perché dovevo passare tutto questo?'. Ero la persona più felice del mondo. Lavoravo, organizzavo feste. Ero sempre con gli amici. Sempre risate con mio padre. Abbiamo girato tutto Israele. Penso che non ci sia posto dove non siamo stati. Anche dopo tutto il dolore, dico: ‘Il mio sogno è tornare da mio padre, tornare indietro nel tempo. Tornare al 6 ottobre’. È questo il mio sogno. Che tutto questo non fosse mai accaduto”. Dietro questo pezzo c’è un duro e lungo lavoro. Se lo hai apprezzato, ti chiedo di premiare il mio impegno. Puoi farlo in due semplici modi: - Iscrivendoti al Blog: steady.page/it/dangelodario/… - Sostenendo il Blog con una piccola donazione: paypal.com/donate/?hosted_bu… Ti ringrazio.
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Una stagista di Mamdani chiama alla guerra santa, alla jihad e al martirio. Arzoo Malik, stagista del sindaco musulmano di New York Zohran Mamdani, spiega che la sua elezione è una fase della jihad. Occorrerà fare cose sgradevoli per salvare l’Occidente🤷🏻‍♂️
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So someone in New York walks freely wearing a Hamas band, saying he wants to attack Jews and you still call this “freedom of speech”? You call them Zionists to justify hate, but tell me where’s your so-called fight against antisemitism now? Where is the “never again” energy you always post about? If threatening Jews on the street is now “normal” in New York, then believe me nothing about that city is normal anymore. Come to the UAE, where if someone even searches for a Hamas scarf online, they’ll be arrested immediately. Because we don’t tolerate hate speech not against Jews, not against Muslims, not against anyone. That’s the difference: we don’t make hatred a “debate,” we make it a crime.
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Replying to @thevoicetruth1
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My masterclass on antisemitism is now available at coveredincome.com! Thanks @MarkRuffalo @SusanSarandon and @GretaThunberg for all the support!
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Iacchetti che delira sugli ebrei sionisti che controllano il mondo su Rete 4, una signora ebrea schiaffeggiata sun un tram a Firenze. Ma tutto tace. Perché ormai l'antisemitismo, vergogna indicibile di tanta destra, è diventato cool a sinistra.
We were proud to cheer on Aston Villa tonight together in our Zioness shirts — which apparently were so controversial that Islamists reported us and claimed we are @MaccabiTLVFC fans (the horror!). Instead of telling the bigots to take a hike, the stadium pulled us out of our seats to interrogate us before shout 30 security guards and police about being Zionists, and accused us of wearing Israeli football club shirts. I was then personally asked by the stadium security what “Zioness” means to me — to which I answered, a female Zionist. Luckily, the staff and police realized how stupid this is and allowed us to returned to our seats in peace…but this is absolutely racist discrimination and we will not be silent about it. It cannot be that fans are discriminated against this way by extremists simply because of who we are. Support us by getting your own @britishzioness shirt! Www.thebritishzioness.com 🇮🇱 …and yes, video of the incident coming soon
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I’m a British Jew. I was born in England. My parents were born in England. Three of my grandparents were born in England. The fourth, my paternal grandfather, had to flee Nazi Germany and was the only survivor of the entire Blond family, with his parents, brothers, uncles, aunts and cousins all being murdered in the concentration camps. I have come today to Birmingham for the Aston Villa/Maccabi Tel Aviv football match to say I wont stand for Islamist bullies telling me where I can and cant go in my own country. @joshhowie @OurFightUk @antisemitism @MahyarTousi @MaccabiTLVFC @kurpapatel
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Palestinian New Yorker who voted for Mamdani says she will be happy to help people convert to Islam.
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🚨 BREAKING: Leaked BBC report admits editors pushed Hamas propaganda. BBC News & Arabic service “minimised Israeli suffering,” “painted Israel as the aggressor,” and aired Hamas claims without checks. Proof: BBC bias wasn’t a mistake – it was policy. telegraph.co.uk/news/2025/11…
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New York, home to the world’s largest Jewish population outside Israel, has just elected a radical Muslim mayor who openly pushes to globalize the intifada. Unbelievable.
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⚠️ Muslim Brotherhood leaders openly explain how they plan to conquer America and Europe and destroy Western civilization: “Muslims tried and failed to conquer Europe for 700 years through war. But now there’s a much easier way: we can peacefully infiltrate via immigration, with help from naive Western governments and voters.” Pay close attention, and you’ll understand how New York and London ended up with Muslim mayors!
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There was never a genocide. There was never a famine. There was never an occupation. There was never apartheid. There was only propaganda and the world believed it.
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They raped, and they accuse Israel of raping. They kidnapped, and they accuse Israel of kidnapping. They tried to ethnically cleanse the Jews, and they accuse Israel of ethnically cleaning them. They targeted and murdered innocent civilians, and they accuse Israel of targeting and murdering innocent civilians. They tried to commit genocide against Israel, and they accuse Israel of committing genocide against them. Every single thing they did or tried to do on Oct 7, they accuse Israel of. I'm not surprised they're accusing Israel. But I’m absolutely gobsmacked the world is dumb enough to believe it.
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Thank you @elonmusk
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A New York probabilmente voteranno un comunista islamico razzzista verso i bianchi perchè promette servizi gratis senza copertura economica. La sinistra è la rovina della civiltà occidentale. #NewYork