Cosa c'è dietro le posizioni filoputiniane di personaggi onnipresenti in tv come Travaglio e Caracciolo? Ho provato ad mettere insieme qualche elemento utile partendo da una figura spesso considerata secondaria come il Generale Fabio Mini e da un recente dossier che lo riguarda.
In un secondo post 👇 trovate dei link utili a fare le dovute verifiche. Buona lettura!
Leggere il Fatto Quotidiano, specie quando si parla di guerra d’Ucraina, è un po’ come guardare il mondo attraverso uno specchio deformante: si rischia di vedere la realtà ribaltata ed irrimediabilmente alterata. Ma tre anni e mezzo di cieca adesione da parte del giornale diretto da
@marcotravaglio alle fake news e manipolazioni della propaganda filorussa, spacciata per democratico esercizio della libertà di “informazione”, non consentono più di liquidare ogni menzogna riproposta come una legittima espressione di un diritto al dissenso, ma piuttosto come un articolato disegno teso a disorientare ed influenzare l’opinione pubblica nel chiaro interesse di una potenza straniera.
Nell’attività di propaganda putiniana è normalmente il direttore a spendersi in prima persona. E lo fa senza pause, con editoriali, monologhi televisivi, libri, spettacoli teatrali e ospitate nei talk show. Ma non è l’unico e, tra le pagine del suo giornale, si possono trovare casi ben più interessanti e rivelatori, rispetto ai legami tra la propaganda di Stato russa ed organi di “informazione” come il Fatto o la rivista Limes, il cui direttore, Lucio Caracciolo, è un altro noto poltronista dei salotti tv.
Nei giorni scorsi, sulla Pravda di Travaglio, è apparso un articolo a firma del Generale Fabio Mini dal titolo “Kiev irresponsabile, ci mette a rischio” (qui la versione aperta riproposta da Infosannio), un concentrato di ucrainofobia, nel quale si condanna senza appello la recente operazione “ragnatela” condotta dal SBU, definita una “bravata”, con la quale sono stati distrutti 40 bombardieri delle forze russe in 5 diversi aeroporti. Secondo Mini, che si preoccupa di evidenziare lo scarso valore tecnologico dell’attacco e di minimizzare le perdite per la Russia, si è trattata di una provocazione per far saltare i colloqui di pace e trascinare Stati Uniti ed Europa in una condizione di cobelligeranza di fatto, ritenuta pericolosa, vista la volontà ucraina di “coltivare il progetto di scatenare una guerra nucleare tra Russia e USA”.
Non è una novità per il Fatto, il cui direttore in primis è sempre stato, come si diceva, estremamente “comprensivo” verso le ragioni putiniane, partendo dalla condanna nei confronti dell’allargamento della NATO, ma anche promuovendo racconti alternativi “sull’oppressione dei russofoni del Donbass” e la “guerra civile” dell’Est dell’Ucraina, esplosa dopo il “colpo di stato” di Euromaidan e i successivi accordi di Minsk “traditi da Kyiv”, fino all’ormai mitologico intervento di Boris Johnson, che avrebbe fatto saltare i colloqui di “pace” di Istanbul dell’aprile/maggio 2022. In alcuni casi lo stesso regime non ha saputo trattenere la propria gratitudine, come a giugno del 2024 quando l’Ambasciata di Mosca in Sud Africa aveva ringraziato il Fatto Quotidiano per essere stato l’unico al mondo ad aver pubblicato la versione russa relativa ad un attacco a Sebastopoli, che aveva causato diversi morti civili (in realtà uccisi dai detriti della risposta della contraerea russa), non senza sottolineare l’impegno del giornale, definito “pacifista”, nel sostenere la necessità di disarmare l’Ucraina aggredita.
Un’opera di quotidiana disinformazione, quella del Fatto, che ha come punti fermi la costante vittimizzazione della Russia e al contempo l’esaltazione della sua invincibilità, oltre alla difesa di chi in Italia e all’estero parteggia direttamente o indirettamente per le posizioni del Cremlino, sposando perlopiù tesi o atteggiamenti antieuropeisti e antiatlantisti, come dimostra, in ultimo il grande risalto dato alle elezioni in Romania, all’esclusione del candidato filorusso Călin Georgescu e al suo sostituto, l’ultrasovranista George Simion, poi sconfitto. Allo stesso modo nel mirino del direttore sono finiti ormai stabilmente i leader di Francia, Germania e Gran Bretagna, i quali sono anche, non a caso, i tre maggiori sostenitori dell’Ucraina.
Per portare avanti questo sforzo propagandistico, dopo l’inizio dell’invasione russa, la brusca sterzata della linea editoriale ha avuto un impatto diretto anche sulla stessa composizione della redazione, nella quale aveva già fatto il suo ingresso, come collaboratore, quell’Alessandro Di Battista, grande fautore dell’accordo tra il M5S ed il partito di Putin “Russia Unita” ed autore di innumerevoli reportage dalla Federazione Russa, tesi ad esaltarne la bellezza, la potenza, il sostegno popolare alla linea del leader, ma che non perde occasione anche per ridicolizzare l’impatto delle sanzioni occidentali e negare praticamente ogni crimine commesso dal regime. Tra gli innesti degni di nota non possono non essere menzionati, ad esempio, quello dell’ex sedicente “ambasciatrice” Elena Basile (inizialmente ospitata sulle pagine del giornale con lo pseudonimo Ipazia dietro il quale si lanciava in critiche politiche spassionate, in violazione del codice etico che il suo ruolo da diplomatica imponeva), anche lei grande divulgatrice di disinformazione filorussa e autrice di libri spesso presentati nel corso di eventi ufficiali presso l’Ambasciata Russa, e quello di Alessandro Orsini, il cui ingresso fu la principale ragione dell’addio al giornale da parte del cofondatore Furio Colombo, il quale dichiarò pubblicamente la propria indisponibilità a convivere con le posizioni smaccatamente filo putiniane del professore. Degna di menzione anche Barbara Spinelli, la quale, pur essendo figlia di Altiero, uno dei padri dell’Europa, da giornalista ed anche da Europarlamentare ha sempre difeso strenuamente le ragioni di Mosca, arrivando a votare “no” alla richiesta dell’Aula di Strasburgo di liberare un regista ucraino imprigionato e torturato per essersi opposto all’annessione illegale della Crimea.
Ma la figura più interessante è appunto quella del Generale Mini, ex comandante delle forze NATO nell’ambito della missione KFOR in Kosovo tra il 2002 ed il 2003, diventato collaboratore del Fatto, dopo l’inizio della guerra, in qualità di esperto militare, sebbene i suoi scritti siano spesso pieni di valutazioni che nulla hanno a che fare con i pareri tecnici che ci si aspetterebbe da un ufficiale di così alto livello. Grande sostenitore delle scie chimiche e seguace del complottista Jaques Baud, Mini non sembra approdato per caso al giornale di Travaglio, dal momento che gli ambienti ai quali era ed è tuttora legato lasciano pochi dubbi circa il fatto che quella di avvalersi della sua collaborazione sia stata, da parte del quotidiano, una scelta deliberata, consapevole e funzionale alla costruzione di un link diretto ad organismi e personaggi legati al Cremlino.
Di recente è infatti apparso un interessante dossier ricavato da fonti aperte, dedicato ai “soldatini di Putin” in Europa, cioè ad una serie di alti ufficiali presenti in diversi paesi dell’Unione che svolgono attività di supporto in favore della Russia. Protagonista assoluto della sezione dedicata all’Italia è proprio il nostro generale, la cui adesione politico-ideologica alle istanze imperialiste del regime criminale del Cremlino emerge prepotentemente.
Mini è ad esempio membro della Pugwash Conference of Science and World Affairs, organizzazione il cui scopo ufficiale è quello di favorire canali di dialogo al fine di prevenire lo scontro tra potenze nucleari, ma che alcuni governi occidentali ritengono infiltrata dai servizi segreti un tempo sovietici e oggi russi. La PCSWA ha ripetutamente sostenuto la necessità di un disarmo dell’Ucraina come premessa per il raggiungimento della pace, mentre l’allora Segretario Generale Paolo Cotta-Ramusino, in una intervista rilasciata a Russia 24 nel dicembre 2022 parlava dell’aggressività dell’Occidente verso la Russia ed esortava l’Ucraina ad abbandonare l’idea di tornare alla situazione così com’era prima del conflitto.
Tra il 2009 ed il 2015 Mini è membro del Comitato Scientifico della rivista Eurasia, che, si spiega nel dossier, nasce dalla necessità di una propria piattaforma da parte “di neofascisti italiani”. Nello stesso comitato sono presenti nomi come quello di Alexander Dugin (considerato il filosofo di Putin, fondatore dell’eurasianesimo o Quarta Teoria Politica, che propone la nascita di un impero euroasiatico totalitario guidato dalla Russia, in opposizione al blocco atlantico) e Sergei Baburin (ex Vice Presidente della Duma, già membro del partito di estrema destra e populista russo Rodina e poi fondatore e presidente di Rossijskij Obščenarodnij Sojuz, cioè "Unione di tutto il popolo russo"). Eurasia si distinguerà anche per il supporto dato, sin dall’inizio dell’invasione alle idee di Dugin, ma anche a teorie complottiste come quelle sui biolab in Ucraina, oltre a farsi promotore della propaganda russa e di una visione nettamente anti-occidentale.
Nel 2011 parte del team di Eurasia, incluso il caporedattore Tiberio Graziani (membro del consiglio supremo del movimento eurasiatico) transita nella rivista Geopolitica, fondato dall’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie – ISAG, dove, nel comitato scientifico approdano anche Mini, Dugin e Baburin. Il nuovo progetto, a differenza del precedente viene utilizzato dalla Russia per coinvolgere un pubblico di sinistra. I suoi analisti partecipano stabilmente agli eventi organizzati dal Movimento di Dugin.
Alla fine di ottobre 2023 Mini partecipa anche alla conferenza di pace internazionale organizzata a Roma dal Fronte del Dissenso, un’organizzazione anti-occidentale e filorussa che si è distinta anche per la sua contrarietà alle politiche adottate durante il periodo del COVID. Dell’evento condivide le dichiarazioni finali, nelle quali si legge che l’Occidente mira a rendere vassalle la maggior parte delle nazioni del mondo, ma si parla anche di attacco alla Russia e provocazioni NATO contro Cina e Corea. Viene menzionata persino una “sanguinosa” ed “illegale” espansione ad est dell’Alleanza Atlantica e si indica la sua sconfitta in Ucraina come prerequisito per la pace mondiale. Lo stesso gruppo, nei primi due anni e mezzo di guerra ha organizzato almeno una dozzina di manifestazioni filorusse con l’hashtag
#stopKillingDonbass, la cui piattaforma di norma include la richiesta di cancellazione delle sanzioni nei confronti della Russia e la condanna verso la richiesta di arresto di Putin emessa dalla Corte Penale Internazionale.
Ma tra gli incarichi del Generale Mini spicca anche la partecipazione al comitato scientifico della rivista Limes, diretta da Lucio Caracciolo. La Scuola di Limes, nata dal giornale, annovera relatori quali Sergei Karaganov, politologo ed economista russo, considerato uno dei fondatori del Consiglio per la politica estera e di difesa (Совет внешней и оборонной поли-тики) nonché fondatore di piattaforme strategiche per il sostegno dell’influenza russa all’estero come il Valdai Discussion Club e la rivista Russia in Global Politics. Karaganov è anche membro del Comitato Scientifico del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa con accesso diretto a personaggi potenti, quali Nikolai Patrushev. Nel giugno del 2023 aveva persino invocato un attacco nucleare nei confronti della Polonia. Nella scuola legata alla rivista di geopolitica opera anche Dmitrij Trenin, ex colonnello del GRU (intelligence militare) membro del Consiglio per gli Affari Internazionali della Federazione Russa, il quale in una intervista rilasciata a settembre del 2022, proponeva a sua volta il lancio “preventivo” di testate atomiche verso gli USA per “riportare il sentimento di paura nella geopolitica”.
Con simili frequentazioni non sorprende ad esempio che Mini, in una simpatica chiacchierata con la TASS il 28 maggio 2023 si sia abbandonato a dichiarazioni raccapriccianti come quella in cui si riferisce alle regioni illegalmente occupate dalla Russia come “territori rivendicati dall’Ucraina”, affermando anche che i vertici del Cremlino avevano sino ad allora “dimostrato la massima razionalità e moderazione”. In un’altra intervista per “Il Sussidiario” esalta lo stato di ottima salute dell’economia russa, mentre “noi stiamo pagando benzina, gasolio, gas, energia elettrica come se fossero oro”. In alcune dichiarazioni rilasciate all’Antidiplomatico, invece, parla degli eventi del 2014 come una guerra di “liberazione” dal “regime di Kyiv”.
Un’attività di propaganda in piena regola, dunque, svolta da un personaggio presentato come esperto militare, con il chiaro scopo di dare una valenza tecnica o persino scientifica alle sue affermazioni, le quali tuttavia rispondono ad una logica di pieno sostegno alla galassia di organizzazioni attraverso le quali la Russia interferisce nei processi decisionali delle democrazie liberali.
Il filo nemmeno troppo sottile che unisce il giornale di Travaglio, Limes e figure chiave del regime di Putin, mai rinnegato nonostante le minacce di scontri nucleari e le dichiarazioni al limite della fantascienza, merita forse una riflessione sugli anticorpi che il nostro sistema di informazione possiede e se questi siano in grado di evitare che la libertà di opinione si trasformi in diritto alla menzogna. Favorendo così aspiranti imperi come la Russia, la quale ha fatto proprio della menzogna e della disinformatia un’arma legittima nell’ambito della sua guerra ibrida permanente contro l’Occidente democratico.