In uno dei suoi ultimi post pubblicati prima delle elezioni, e forse quello simbolicamente più importante, Zohran Mamdani ha dedicato un omaggio commosso a Vito Marcantonio. Figlio di immigrati lucani, Marcantonio era un deputato di East Harlem e, insieme a Carlo Tresca, uno dei due esponenti più celebri del radicalismo di sinistra italoamericano del primo Novecento. Comunista dichiarato, entrò in Congresso sotto le insegne del Partito laburista statunitense, oggi defunto. Una figura a lungo relegata nelle nicchie accademiche, e ai tempi in cui lavoravo a New York (parliamo di dieci anni fa) giaceva nelle catacombe polverose e nei dibattiti con quattro partecipanti, incluso lo speaker, di qualche libreria indipendente di Brooklyn. Del resto il ruolo degli italoamericani nel radicalismo di sinistra è stato trascurato negli studi accademici fino agli anni Settanta: una omissione che deriva, tra le altre cose, dal pregiudizio dell’“amoral familism”, secondo cui i meridionali sarebbero incapaci di azione collettiva. Qui due bei saggi che mi è capitato di comprare in una di quelle librerie, quando facevo il giornalista negli uffici Wall Street, ma vivevo proprio a East harlem:
UNTIL IT’S DONE, Ep. 5: Vito Marcantonio There are many who dismiss our vision for New York as impossible. To them, I say we need look only to our past for proof of how we can shape the future. Tomorrow is Election Day. And this is the final Until It's Done of our campaign.
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Il Partito Comunista statunitense negli anni Trenta, prima che l'Unione Sovietica si affermasse come rivale sistemico per Washington, era al massimo fulgore della sua storia, e uno dei più grandi organizzatori di rivolte anti-KKK in Alabama. Difficilmente, però, operava sotto il suo vero nome. Per sfuggire alla repressione e al pregiudizio, Marcantonio e tanti altri socialisti si disperdevano ufficialmente in una miriade di associazioni e altri partiti. Una delle poche occasioni in cui i comunisti statunitensi uscirono allo scoperto col proprio nome, e non clandestinamente, fu il 1935, quando l’Italia fascista invadeva l’Etiopia. In quell'occasione, il Communist Party comunista riuscì a mobilitare a New York una delle più grandi manifestazioni antimilitariste dell’epoca. Gli organizzatori italoamericani erano in prima fila. Marcantonio pure.

Nov 5, 2025 · 2:32 PM UTC

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Vedere migliaia di operai italoamericani e afroamericani sfilare insieme per le strade di Harlem con gli “Giù le mani dall’Etiopia” e “Morte al fascismo” non era una cosa da tutti i giorni. Socialisti e comunisti, comunità etniche che vivevano fianco a fianco, ma spesso restavano separate dalla religione e dalla politica (o dall'avversione per la politica) si ritrovarono unite contro la guerra coloniale di Mussolini. A Boston si ripeté la stessa scena. Le cronache del New York Times parlarono di 75 mila partecipanti. Per molti militanti di lungo corso fu la prova che gli italoamericani non erano votati, per cultura o formazione, all'indifferenza e al familismo, ma potevano schierarsi con i popoli colonizzati.
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Addendum: lo storico Joshua Freeman, che ho intervistato non ricordo più per quale blog o rivista (non ritrovo l'articolo) nel 2014 ha scritto questo strepitoso pezzo per @jacobin in cui spiega quelle che sarebbero state le radici della vittoria di Mamdani: la risoluzione della crisi fiscale di NY degli anni Settanta che funge da modello per tutto il reaganismo e il thatcherismo da lì da venire: l'uso della bancarotta come leva finanziaria per sconquassare equilibri politici, rimpiazzare fette di territorio ingestibili e improduttive con altre capaci di sostenere, con la loro sfrontata ricchezza, l'intera baracca fiscale cittadina. Da qui la trasformazione di megapoli come Londra e la stessa NY in vere e proprie Dubai fluviali, con qualche sacca isolata di resistenza culturale e politica: tollerata per decenni finché rimane nei confini del soft power democratico più innocuo: jacobin.com/2014/10/if-you-c…
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